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Descriere

Estratto: ...me. MANGONE. Sète venuto a tempo: v'ho comprato un schiavo piú meglio assai di quello che m'avete chiesto o che sapete desiderare. È giovane di diciassette o diciotto anni, bello di corpo e piú bello d'animo: ha un bel procedere, di belli ragionamenti, di apparenza assai nobile e allegrissimo, balla e canta graziosamente, e m'ho preso gran spasso con lui.

FILIGENIO. Poiché tanto lodi la tua mercanzia, è segno che vuoi stravendere. Mi bastava solo che fusse stato giovane e di belle fattezze. MANGONE. Vi dolete dunque che ve l'abbi compro miglior di quello che me l'abbiate chiesto? FILIGENIO. Io non mi doglio di quel meglio, ma che tu con questo meglio mi vogli impiccar per la gola e vendermelo soverchio.

MANGONE. Non l'ho detto per tale effetto, ma perché mi ricordo e so servir gli amici a' quali porto affezione.

FILIGENIO. Te ne ringrazio: fallo calar qui giú, ché lo veggia.

MANGONE. Filace, fa' calar quello schiavo. Vedrete che non v'ho detto bugia: avanzará con la presenza quello che vi ho depinto con le parole. Ma avertite che non vi lascerò un quattrino di trecento scudi, perché val cinquecento, e vo' che voi ne siate giudice.

FILIGENIO. Io non ne ho a comprar la bellezza di lui, il bel ragionare, il cantare e il ballare; ma vo' che sia ben creato, gagliardo e che sappia servire.

MANGONE. Eccolo, vedetelo bene, consideratelo; non vi ho chiesto soverchio.

FILIGENIO. Non è di cattiva apparenza.

SCENA VI. MELITEA travestita, MANGONE, FILIGENIO. MELITEA. Caro signore, che mi comandate?

MANGONE. L'aspetto solo non vale un tesoro? vedeste mai schiavo piú bello, di miglior garbo e di piú nobile apparenza? Non si vede in costui quel naso schiacciato, quelle labra grosse rivolte in fuori; sempre col riso su le labra, e per lo volto e per gli occhi fiorisce la sua allegrezza; anzi, quanto piú lo miri piú ti piace mirarlo: or se fusse bianco, che si potrebbe mirar cosa piú bella? e ti giuro che mi par ora piú bello che quando lo comprai...



L'autore

Giovanni Battista Della Porta, indicato anche come Giambattista o Giovambattista Della Porta (Vico Equense, 1º novembre 1535 – Napoli, 4 febbraio 1615), è stato un filosofo, alchimista, commediografo e scienziato italiano.

Terzo figlio di Nardo Antonio e di una patrizia della famiglia Spadafora, ricevette le basi della sua formazione culturale in casa, dove si era soliti discutere di questioni scientifiche, e dimostrò immediatamente le sue notevoli innate capacità, che poté sviluppare attraverso gli studi grazie alle condizioni agiate della famiglia: il padre era infatti proprietario terriero e armatore di navi. Prima il padre e poi il fratello maggiore Gian Vincenzo ebbero a partire dal 1541 la carica di scrivano di mandamento.

La famiglia aveva una casa a Napoli a via Toledo (il palazzo Della Porta), una villa a Due Porte, nelle colline intorno a Napoli, e la "villa delle Pradelle" (Vico Equense). Tra i suoi maestri vi furono il classicista e alchimista Domenico Pizzimenti, e i filosofi e medici Donato Antonio Altomare e Giovanni Antonio Pisano.

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